Da alcuni giorni sulla città aleggiava una densa nube grigia. Le persone anche se erano ormai abituate all’inquinamento, erano molto preoccupate perché non si riusciva a stabilire la causa di quello strano fenomeno. La nube era così densa che si poteva tagliare con un coltello. Le strade erano avvolte dall’oscurità anche in pieno giorno e si respirava un tanfo nauseabondo perché rifiuti di ogni genere erano accumulabili ovunque. Ormai quella città sembrava una discarica. Ettore era un ragazzo di dieci anni. Il padre, professore di greco e latino, lo aveva chiamato così perché immaginava per lui un futuro eroico, ma Ettore era molto timido, perseguitato dai bulli, solitario. Era così introverso che tutti da tempo lo chiamavano Cupo. Frequentava la scuola “Ivano Pittazzelli” che era lugubre, tetra, sembrava quasi una prigione e questo di certo non migliorava l’umore del ragazzo. L’unico merito del ricchissimo Pittazzelli era stato quello di possedere delle fabbriche molto inquinanti: erano davvero misteriosi i motivi per cui gli avevano intitolato la scuola, ma in quella città, come si sarà capito, accadevano delle cose stranissime.
Quella mattina, quando Cupo uscì di casa per andare a scuola, non poteva immaginare di essere sul punto di vivere un’avventura che avrebbe per sempre cambiato radicalmente la sua esistenza. Mentre attraversava il ponte sul fiume della città si sollevò dall’acqua putrida un’onda che lo avvalse e lo trascinò via.
Annaspò a lungo e lottò con tutte le sue forse per salvarsi ma la corrente era troppo forte e alla fine perse i sensi e fu trascinato negli abissi. Si risvegliò in una stanza poco illuminata con le pareti gelatinose e il pavimento ingombro di rifiuti. C’era una grande umidità e dal soffitto piovevano incessantemente delle grosse gocce melmose che ogni tanto lo colpivano rigandogli di nero il volto. Guardò fuori da una finestrella chiusa da grosse sbarre e si accorse che quel luogo era completamente sommerso. Davanti a lui c’era l’essere più strano che avesse mai visto. Il suo corpo aveva la forma di una gigantesca carota marcia ed era coperto da una melma rivoltante. La testa sembrava un grosso fungo velenoso e sorrideva in maniera malefica, mostrando dei lunghi denti da T – Rex. Aveva piedi da troll, puzzolenti e pelosi e dalle dita delle sue mani palmate spuntavano degli artigli lunghi e affilati.
- Sono un mutante generato dai rifiuti tossici delle fabbriche di Ivano Pittazzelli – disse il mostro – ormai siamo centinaia di migliaia e presto conquisteremo il mondo.
- Ma che volete da me? – disse Cupo con un filo di voce – Perché mi avete trascinato qui?
- Voi Puliriani non avete alternativa – disse la Carotona – se non accetterete di diventare come noi, morirete tutti. Tu sei stato scelto come cavia per essere sottoposto al primo esperimento di mutazione. Ti consiglio di non ribellarti.
Entrarono quattro Carotoni molto grossi che afferrarono il ragazzo e lo bendarono. Cupo si dimenò con tutte le sue forze per liberarsi, ma fu inutile e venne trascinato nella sala degli esperimenti. Quando gli tolsero la benda, non credette ai suoi occhi. C’erano tantissimi mutanti che si affannavano attorno a un marchingegno misterioso. Era costituito da due giganteschi cilindri di cristallo uniti da un tubo spiraliforme. Un cilindro era vuoto, l’altro era pieno di un liquame viscido e nauseabondo.
- Sta per giungere il tuo momento, insipido Puliriano! – disse quello che sembrava il capo degli scienziati – Verrai messo nella macchina e grazie alla nostra avanzatissima Tecnologia Nera sarai sottoposto all’azione di quel liquame sperimentale e in pochi istanti verrai trasformato in uno di noi!
Quando Cupo venne portato davanti alla macchina, successe qualcosa di strabiliante. Pensò a quando da piccolo andava a giocare al parco, si rotolava nell’erba fresca e dava da mangiare agli uccellini. Perché avrebbe dovuto rinunciare a tutto questo? Sentì crescere dentro di sé l’amore per la natura che diventò una forza immensa, irresistibile. E fu a quel punto che accadde il miracolo. La melma all’interno del cilindro divenne incandescente e cominciò a bollire. Dai Carotoni si levò un denso fumo nero ed iniziarono a sciogliersi. Urlavano disperatamente, ma per loro non c’era scampo. Cupo capì che doveva sbrigarsi a scappare. Nella sala degli esperimenti c’era una finestra da cui si vedeva il fiume. Senza pensarci un attimo la sfondò e si ritrovò immerso nell’acqua putrida e melmosa del fondale. Nuotò verso la superficie lottando contro la forza della corrente. Quando finalmente raggiunse la riva si udì un terribile boato che scosse la superficie dell’acqua: la macchina dei Carotoni era esplosa e di loro non era rimasta traccia.
Cupo guardò la sua città avvolta da quella nube tossica, ma ormai era convinto che un giorno con l’impegno di tutti, sarebbe tornata a splendere.
Classe V A (2011 - 2012) - Scuola primaria Tintoretto